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lunedì 12 agosto 2013

serve a qualcosa ?

Oggi ho letto il post di Roberto Cotroneo (@robertocotroneo) a cui ha fatto seguito quello di Giuliano Castigliego (@giulicast) che a sua volta rimandava anche a questa lettura di Serena Danna (@serena_danna).

Scambio interessantissimo.

Argomento complesso al quale so rispondere solo con molte, moltissime difficoltà. Ma ci provo.

Posso raccontare che mentre ho avuto subito un rigetto per FB dove tutto è troppo, su twitter mi sono trovato abbastanza bene.
Credo sia stato il solito mix di fortuna, volontà e casualità che mi ha consentito di avere un gruppo di persone da cui sono seguito e/o che seguo che mi arricchiscono.
Non sempre allo stesso modo e non sempre con cadenza costante, ma la crescita l'avverto: è palpabile. Poi - certo - ci sono i momenti di stanca in cui ti sembra tempo perso, tempo rubato ad altro, ma anche quella criticità serve a pulire, a capire, a rifinire.

Non mi sono accontentato però. Con alcuni mi sono incontrato, con altri abbiamo scambiato i numeri di telefono, ci siamo parlati; altri account mi sono stati utili per ritornare a leggere cose che avevo lasciato nel dimenticatoio e che invece mi faceva piacere riprendere.

Cotroneo dice: "È un mostrarsi senza voler vedere, è un essere senza esistere.".
Esiste questo rischio, non si può dubitarne.
Così come si può avere una persona davanti per 20 anni con la quale si condivide un ufficio, un lavoro e accorgersi che non si sa nulla di lei.
Si può essere senza esistere dovunque: dipende da cosa ci si mette di proprio. La capacità di essere senza esistere non dipende dal social ma dalla nostra abilità nel nascondere l'umano: spesso troviamo superuomini e superdonne che non rendono mai conto di un fallimento, di una difficoltà oppure al contrario non comunicano mai una gioia intima, un'emozione. Fuori e dentro dei social. Hanno costruito esoscheletri di finta perfezione con la quale si muovono nel mondo reale e virtuale.

Invece io cerco l'umano, il simile a me, colui o colei che manifesta le sue debolezze, le sue difficoltà così come i suoi momenti felici.
Ho trovato personalmente più attenzione in certi tweet diretti a me che in alcune strette di mano fasulle di chi si interessa solo con modi di circostanza o convenienza.

Ed ancora "Serve davvero a qualcosa?".
Serve se si è disposti laddove possibile e con le persone selezionate a mettersi in gioco. Twitter come qualsiasi altro social network non deve diventare la gabbia nella quale ognuno si maschera, ma deve, dovrebbe, portare al momento di un rivelamento. Non con tutti, non sempre: questo è quello che sto provando a fare.

Twitter appare senza dubbio come il solito calderone nel quale si trova l'autopromozione, il narcisismo debordante, le personalità rilucidate per l'occasione, la retorica a buon mercato e non richiesta, il surrogato insopportabile di concetti e pensieri, l'ostentazione ripetuta di autoritratti (meglio noti come selfie).

Ma si trovano anche sofferenze che cercano ascolto, preghiere palesi e preghiere inespresse, desideri manifesti, vere e proprie ricerche linguistiche (vedi il lavoro di #scritturebrevi di Francesca Chiusaroli, @fchiusaroli). A questo aspetto sono molto legato.

Certi tweet, poi, sono come finestre aperte per pochi istanti sulla vita di persone che mettono a disposizione qualcosa di sé.
Tutto sta nel cogliere, capire e partecipare.

Sensibilità, è sempre un fatto di sensibilità.

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